venerdì 8 agosto 2025

Dal Kemonia al Po: viaggio di un editore che porta Palermo nel bagaglio a mano

 

 

Certe storie cominciano in riva a un fiume, anche quando il fiume non si vede più. Palermo ne aveva due, il Papireto e il Kemonia, che da secoli se ne stanno nascosti sotto pietre, asfalto e oblio, ma che di tanto in tanto – come certi caratteri siciliani – riemergono per ricordare che l’acqua non si addomestica mai del tutto. È sulle rive invisibili di questo Kemonia che, nel 2019, nasceva una casa editrice con un nome antico e un’ambizione fresca: ridare voce agli inediti, dalla poesia alla saggistica accademica, con la stessa naturalezza con cui in certi salotti palermitani si passa dal parlare di politica a citare Federico II.

Oggi le Edizioni Kemonia hanno fatto le valigie. Destinazione: il Nord. Non un esilio, piuttosto una migrazione stagionale, come le rondini. Si parte per cercare nuove piazze, mercati più affollati, fiere del libro dove si parla con la erre arrotata e le presentazioni si aprono con un buffet di tartine. Ma il cuore resta lì, tra i vicoli che odorano di arancine e di carta vecchia, tra le librerie sopravvissute ai secoli e alle mode.

Che il trasloco non sia una fuga lo si capisce dal catalogo. Tre collane, tre vessilli che raccontano la doppia anima dell’impresa: “I Vespri”, per la narrativa che sa di rivolta e orgoglio; “Gli Emiri”, per la saggistica che ricorda quando Palermo era capitale araba di scienza e poesia; “Stupor Mundi”, per la poesia che si inginocchia davanti al genio di Federico II. Titoli che odorano di pergamena e di mare salato, e che resistono all’omologazione di certe collane patinate che, a forza di inseguire le classifiche, finiscono per somigliarsi tutte.

Ma il mondo dell’editoria italiana, in questi anni, non è stato il migliore dei compagni di viaggio. I dati parlano chiaro: nei primi quattro mesi del 2025 si è venduto il 3,6 % in meno di libri rispetto all’anno precedente. Tradotto: quasi un milione di copie in meno e 15,9 milioni di euro evaporati. Colpa, dicono, anche della riduzione della Carta del diciottenne, che ha prosciugato un fiume di acquisti compulsivi. La crisi non guarda in faccia nessuno: i grandi editori perdono poco, i medi molto, i piccoli quasi l’anima.

Eppure, in questo panorama da “Ultimo dei Mohicani”, c’è chi continua a stampare versi e racconti senza l’ossessione di finire in cima alle classifiche di Amazon. Kemonia è tra questi. Perché il libro, prima ancora che un prodotto, è un atto di fede. In tempi di calo delle vendite, fondare o far crescere una casa editrice indipendente è come piantare un limone in un cortile milanese: serve cura, serve ostinazione, serve soprattutto ricordarsi che le radici stanno altrove.

Il Sud, d’altronde, non è solo un mercato “debole” da rilanciare con iniziative dagli effetti spesso più velleitari che reali. È un serbatoio di storie che il Nord non sa più raccontare da solo. E forse è proprio questa la scommessa di Kemonia: portare al di sopra del Po la lente deformante e insieme lucida della cultura siciliana, quella che sa ridere e sanguinare nello stesso paragrafo.

Il fiume sotterraneo che le ha dato il nome scorre ancora, invisibile ma testardo. E così farà l’editore: a Milano, Torino o chissà dove, il catalogo continuerà a odorare di zagara, a parlare in dialetto quando serve, a infilare nei suoi libri la luce gialla di Palermo. Non è un’operazione nostalgia, ma un modo di non lasciarsi standardizzare. Perché un editore senza radici è come un libro senza indice: lo leggi, forse, ma non lo ritrovi più.

Se Edizioni Kemonia riuscirà nell’impresa, lo diranno le vendite, certo, ma più ancora i lettori che si riconosceranno in quelle pagine. E quando, un giorno, in un festival del libro del Nord, tra un prosecco e una presentazione, sentiranno citare il Papireto e il Kemonia, sapranno che non si tratta di vini siciliani, ma di fiumi antichi. E che c’è un editore che li ha portati fin lì, per ricordare che la letteratura, come l’acqua, trova sempre il modo di riaffiorare.