Certe storie cominciano in riva a un fiume,
anche quando il fiume non si vede più. Palermo ne aveva due, il Papireto e il
Kemonia, che da secoli se ne stanno nascosti sotto pietre, asfalto e oblio, ma
che di tanto in tanto – come certi caratteri siciliani – riemergono per
ricordare che l’acqua non si addomestica mai del tutto. È sulle rive invisibili
di questo Kemonia che, nel 2019, nasceva una casa editrice con un nome antico e
un’ambizione fresca: ridare voce agli inediti, dalla poesia alla saggistica
accademica, con la stessa naturalezza con cui in certi salotti palermitani si
passa dal parlare di politica a citare Federico II.
Oggi le Edizioni
Kemonia hanno fatto le valigie. Destinazione: il Nord. Non un esilio,
piuttosto una migrazione stagionale, come le rondini. Si parte per cercare
nuove piazze, mercati più affollati, fiere del libro dove si parla con la erre
arrotata e le presentazioni si aprono con un buffet di tartine. Ma il cuore
resta lì, tra i vicoli che odorano di arancine e di carta vecchia, tra le librerie
sopravvissute ai secoli e alle mode.
Che il trasloco non sia una fuga lo si capisce
dal catalogo. Tre collane, tre vessilli che raccontano la doppia anima
dell’impresa: “I Vespri”, per la narrativa che sa di rivolta e orgoglio; “Gli
Emiri”, per la saggistica che ricorda quando Palermo era capitale araba di
scienza e poesia; “Stupor Mundi”, per la poesia che si inginocchia davanti al
genio di Federico II. Titoli che odorano di pergamena e di mare salato, e che
resistono all’omologazione di certe collane patinate che, a forza di inseguire
le classifiche, finiscono per somigliarsi tutte.
Ma il mondo dell’editoria italiana, in questi
anni, non è stato il migliore dei compagni di viaggio. I dati parlano chiaro:
nei primi quattro mesi del 2025 si è venduto il 3,6 % in meno di libri rispetto
all’anno precedente. Tradotto: quasi un milione di copie in meno e 15,9 milioni
di euro evaporati. Colpa, dicono, anche della riduzione della Carta del
diciottenne, che ha prosciugato un fiume di acquisti compulsivi. La crisi non
guarda in faccia nessuno: i grandi editori perdono poco, i medi molto, i
piccoli quasi l’anima.
Eppure, in questo panorama da “Ultimo dei
Mohicani”, c’è chi continua a stampare versi e racconti senza l’ossessione di
finire in cima alle classifiche di Amazon. Kemonia è tra questi. Perché il
libro, prima ancora che un prodotto, è un atto di fede. In tempi di calo delle
vendite, fondare o far crescere una casa editrice indipendente è come piantare
un limone in un cortile milanese: serve cura, serve ostinazione, serve
soprattutto ricordarsi che le radici stanno altrove.
Il Sud, d’altronde, non è solo un mercato
“debole” da rilanciare con iniziative dagli effetti spesso più velleitari che
reali. È un serbatoio di storie che il Nord non sa più raccontare da solo. E
forse è proprio questa la scommessa di Kemonia: portare al di sopra del Po la
lente deformante e insieme lucida della cultura siciliana, quella che sa ridere
e sanguinare nello stesso paragrafo.
Il fiume sotterraneo che le ha dato il nome
scorre ancora, invisibile ma testardo. E così farà l’editore: a Milano, Torino
o chissà dove, il catalogo continuerà a odorare di zagara, a parlare in
dialetto quando serve, a infilare nei suoi libri la luce gialla di Palermo. Non
è un’operazione nostalgia, ma un modo di non lasciarsi standardizzare. Perché
un editore senza radici è come un libro senza indice: lo leggi, forse, ma non
lo ritrovi più.
Se Edizioni Kemonia riuscirà nell’impresa, lo
diranno le vendite, certo, ma più ancora i lettori che si riconosceranno in
quelle pagine. E quando, un giorno, in un festival del libro del Nord, tra un
prosecco e una presentazione, sentiranno citare il Papireto e il Kemonia,
sapranno che non si tratta di vini siciliani, ma di fiumi antichi. E che c’è un
editore che li ha portati fin lì, per ricordare che la letteratura, come
l’acqua, trova sempre il modo di riaffiorare.
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